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Tour Marocco fai da te: deserto, monti e mare in 9 giorni

In questo articolo mi sono concessa la libertà di esprimermi con sentenze un po’ forti. Questa volta, ho deciso di abbandonare lo stile politically correct che di solito assumo negli altri miei scritti, perché vorrei portare il lettore a immedesimarsi in quello che ho vissuto, seguendo l’evolvere della mia percezione fino alla conclusione, in cui esprimo alcune considerazioni finali. Il Marocco è una terra che mi ha sorpresa e la compagnia con cui sono partita mi ha insegnato tanto: ciascuno dei ragazzi con cui ho condiviso questo viaggio on the road in terra marocchina ha contribuito alla stesura di questo articolo, che ora mi piacerebbe condividere con voi.

Marocco on the road

10 + 3 cose da sapere prima di partire per il Marocco

  1. La moneta locale è il Dirham: si tratta di banconote colorate che presentano tutte la medesima stampa, quella del re. Fare la conversione in euro è molto facile: basta dividere per 10. Attenzione, perché il Dirham non è valuta di scambio corrente: l’unico modo che avrete per procurarvelo è cambiare il denaro in loco (per esempio in aeroporto), inoltre è vietato far uscire soldi marocchini dal Paese. Ricordatevi quindi di cambiarli al ritorno, oppure di spenderli tra le coloratissime bancarelle delle medine.
  2. Un po’ più difficile è farsi dare il resto giusto dai commercianti: i marocchini, ahimè, cercheranno sempre di fregarvi. È il prezzo da pagare per non essere svegli come loro.
  3. Se noleggiate un’auto, dovrete parcheggiarla. Troverete parcheggi a pagamento (per pochi spiccioli e raramente al coperto), ma spesso tutti occupati, per cui vi ritroverete a doverla lasciare in strada. Dovrete quindi affrontare i parcheggiatori abusivi che, con la loro pettorina ricamata a mano o un improvvisato gilet catarifrangente, vi faranno capire che quel posto non è sicuro e che loro possono fare la guardia per voi. Detto in altri termini: ricambiate anticipatamente quella cortesia con qualche moneta, se non volete che loro per primi vi taglino le gomme.
  4. Le zone del Marocco cambiano moltissimo a distanza di alcuni chilometri: la varietà che si riscontra va dai monti al mare, passando per le dune del deserto. Tale eterogeneità non è solo a livello paesaggistico ma anche culturale: in campagna le persone paiono più genuine, nelle medine più turistiche domina la mentalità utilitaristica e nelle metropoli del nord la mentalità risulta più aperta. Spostandovi verso nord, le città diventano infatti più spagnole, più mediterranee e la loro vitalità è più pura, probabilmente perché più benestanti. Le donne sono più libere, vestite più curate e regalano sguardi ammaliatori, dal profondo dei loro occhi truccati di scuro.
  5. I rulli di tamburi sono all’ordine del giorno, così come il richiamo alla preghiera dagli altoparlanti dei minareti (cinque volte al giorno, in orari un po’ diversi a seconda della città, spesso alle 5 del pomeriggio e alle 8 di sera). Quando non suonano loro, sarà il canto del gallo a ravvivare i vostri momenti più tranquilli.
  6. State sempre all’erta e dimenticatevi la fiducia nelle infrastrutture europee: ogni gesto apparentemente benevolo di uno sconosciuto che si approccerà a voi – non importa quale ruolo ricopra o divisa indossi – non è mai disinteressato. Questo vale tanto per i poliziotti, come per i lavoratori aeroportuali, per non parlare poi dei commercianti nei mercati.
  7. I marocchini dicono sempre di sì. Probabilmente si tratta di una ragione culturale, un modo per esprimere rispetto verso il proprio interlocutore. Detto questo, non credete mai completamente alla parola di un marocchino, perché la maggior parte delle volte è ricoperta da un velo di falsità. Non sarà facile, specialmente nelle labirintiche medine delle città, dove ci si perde dietro ogni angolo e spesso la tentazione di farsi aiutare è forte. Non date corda a chi vi approccia con un biglietto da visita in mano, con la promessa di portarvi a destinazione… non saprete mai dove vi condurrà.
  8. Il tè alla menta è un’istituzione, versato dall’alto di splendide teiere in argento. Lo si beve solitamente a colazione, a fine pasto e in ogni occasione buona per socializzare, sedendosi ai tavolini che guardano le altre vite cittadine scorrere frenetiche nel rumoroso traffico stradale.
  9. Ricordatevi di chiedere sempre il permesso prima di scattare una foto. Specialmente gli uomini immortalati durante il loro lavoro potrebbero sentirsene offesi.
  10. Dimenticatevi degli standard igienici a cui probabilmente siete abituati. In Marocco tutto si prende con le mani, le stesse che toccano cibo, corpi animali e oggetti di ogni genere. Non bevete mai l’acqua corrente (tranquilli, non sarà difficile comprare bottiglie d’acqua confezionata), cercate di ordinare latte e yogurt solo se vi siete appurati dell’esistenza di un frigorifero nel locale e, se siete particolarmente schizzinosi, portate con voi un tappo universale per impedire al cattivo odore di risalire dalle fognature fino al vostro lavandino.
  11. Nel labirinto delle medine (le ho nominate spesso ma non ho ancora spiegato di cosa si tratti: semplicemente, la medina è la parte antica delle città, circondata dalle mura) vi capiterà di incontrare persone che fanno “da palo”. Li riconoscerete perché vi avviseranno che “la strada è chiusa” anche se vedrete uscire ed entrare diverse persone. Senza farvi troppe domande, girate i tacchi perché evidentemente in quella zona i turisti non sono ben voluti.
  12. Sì, voi sarete turisti e non ci sarà nulla da fare per mascherarlo. Per me questa tappa africana ha rappresentato la prima volta in terra extra-europea e la differenza rispetto agli altri viaggi è stata lampante.
  13. Dimenticatevi dell’alcol. Se a cena vi piace pasteggiare con un calice di vino e in vacanza siete abituati a lasciarvi andare con una birretta, ricordatevi che il Marocco è un Paese Islamico, la cui religione proibisce di consumare alcolici. Al contrario, sarà molto facile procurarsi del fumo, che però noi abbiamo evitato.

Ma ora bando agli elenchi puntati, entrate con me nel vivo del viaggio!

Marrakech

Piazza Jemaa El Fna Marrakech
Piazza Jemaa El Fna, Marrakech

Il volo di andata è stato un notturno con la compagnia TUI, partendo da Bologna. Appena atterrati all’aeroporto di Marrakech, andate subito ai totem di registrazione per compilare un foglietto bianco identificativo. Ricordatevi di portare una biro con voi, perché lì ci sarà il banchetto per scrivere ma nessuna penna. Una volta fatto, potrete avviarvi al controllo passaporto.

Totem per identificazione in aeroporto
Totem per identificazione in aeroporto

Se dovete fare colazione, non fermatevi da PAUL, una grande catena francese che troverete in molte città europee. Camminate in direzione delle partenze e, nascosto dietro i vari punti di exchange (utili se dovrete procurarvi i Dirham), ecco un baretto sorprendente. Qui potrete gustarvi un’ottimo pancake con marmellata (ho scoperto in seguito di cosa si tratta e se siete curiosi guardate il video di preparazione della Moufleta), un caffelatte memorabile e mille mila dolcetti al miele.

Se voleste noleggiare un’auto (per esempio con la compagnia Hertz come abbiamo fatto noi), quando uscite sul piazzale davanti all’aeroporto di Marrakech, camminate dritto davanti a voi, fino alla fine. Lì troverete uno o due “omini” che vi assegneranno l’auto (ne hanno poche, ma in buone condizioni). Unico riconoscimento: un cappellino brandizzato.

Tranquillità mattutina a Marrakech
Tranquillità mattutina a Marrakech

Non fatevi illudere dall’apparente tranquillità della città al mattino presto, popolata solo da gatti rachitici e spelacchiati in cerca di cibo. Senza che ve ne rendiate conto, diventerà delirante prima ancora che riusciate a scorgere le ore 10 sul quadrante del vostro orologio. Ritagliatevi quindi un po’ di pace nel giardino di Jardins Dar Mimoun (indirizzo: 1, Der Amrane Riad Zitoun Kedim, Marrakech), dove potrete gustare un’ottima colazione tradizionale a base di tè alla menta (è qui che per la prima volta assistiamo al rito del versare la bevanda dall’alto di una splendente teiera in argento), pita, moufleta, marmellata, miele, burro e il panino ricoperto dai semini che abbiamo visto vendere al mercato – just to know, i mercati marocchni si chiamano suq o suk – qualche istante prima (e che nel corso del viaggio vedremo e gusteremo altre innumerevoli volte).

Tè alla menta marocchino
Tè alla menta marocchino

Se voleste acquistare una SIM card con una compagnia telefonica marocchina (vi ricordo che siete in Africa, dove non vigono le tariffe europee senza costi di roaming), ecco cosa andrete a spendere con la Maroc Telecom: 50 DHS per la SIM + 100 DHS per 10 Giga di internet per 2 settimane + 20 DHS per 60 minuti di chiamate nazionali e internazionali per 14 giorni. In pratica ve la cavate con meno di 20 euro. Noi abbiamo diviso tale cifra per quatto: uno di noi aveva lo smartphone con doppia SIM e all’occorrenza condivideva con gli altri la rete tramite hotspot.

Quando rientrerete nel traffico della medina, fate in modo di avere con voi un foulard in testa, più per proteggervi capelli e viso dallo smog che per rispetto nei confronti della popolazione. Marrakech è infatti pieni di turisti e gli abitanti sono abituati a veder passare donne europee con il capo scoperto. Quello che forse non vi aspettate è il continuo viavai di scooter alimentati a benzina i cui gas sono davvero asfissianti. Mentre camminerete lungo stradine in cui si fatica a passare con la sola mole del vostro corpo, loro schizzeranno verso di voi da ogni direzione, annunciando il loro arrivo con fastidiose suonate di clacson. L’unica cosa da fare è scansarvi, perché la precedenza – seppur implicitamente – ce l’hanno loro.

A fine giornata, stremati da questo shock culturale affrontato con le valigie in mano, arriviamo al Rihad Chennaoui, dove avremmo pernottato. Anche in questo caso, non è stato semplice: Google Maps non funziona al meglio nelle medine delle città marocchine (il reticolo di stradine probabilmente è troppo complesso); inoltre proprio sul punto di arrivo siamo stati approcciati da un gruppo di ragazzini che ha tentato (invano) di convincerci che avevamo sbagliato direzione e che ci avrebbero condotto loro a destinazione. Una volta compreso che non avremmo abboccato, ecco che la strategia è cambiata: appena aperta la porta del Riad hanno probabilmente comunicato al proprietario che siamo stati degli ingrati per non averli ricompensati dell’aiuto… era merito loro se ci trovavamo lì.

Dopo varie spiegazioni, l’oste finalmente ci accoglie e ci fa sedere offrendoci un tè. Si fa subito pagare e, alla mia richiesta di una ricevuta, mi risponde con un sorriso che lui è il proprietario, ci pensa lui a tutto. Ci dice che possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo e che ci avrebbe mostrato in seguito la nostra stanza, ma già dopo il primo sorso ci richiama per concludere la nostra “accoglienza”.

Riad a Marrakech
Riad a Marrakech

Col senno di poi, si è trattato del posto peggiore in cui abbiamo alloggiato, ma in realtà per gli standard di Marrakech penso si tratti di una buona soluzione, specialmente per la posizione appena fuori il perimetro di mura che costeggiano il bellissimo Palazzo Bahia, che visitiamo prima di cena al costo di 70 DHS.

Palazzo Bahia Marrakech
Palazzo Bahia Marrakech

Ci tuffiamo poi nella Marrakech più viva, quella dei mercanti pazzi della Piazza Jemaa el Fna, dove fai presto a ritrovarti con un serpente attorno al collo, una scimmia sulla schiena o la tua mano in quella di una donna più furba che abile nel dipingertela con l’henné. A quel tempo, non avevamo ancora imparato l’arte dell’ignorare le persone e tirare dritto per il nostro cammino, mostrando sicurezza.

Ourzarzate

Ourzarzate Marocco
Vista su Ourzarzate dal bnb

La strada che da Marrakech conduce al paese di Ourzarzate regala un paesaggio splendido: percorriamo strade immerse negli oleandri, uliveti, cactus, il tutto con uno sfondo di monti innevati.

Monti innevati entroterra Marocco
Monti innevati nell’entroterra del Marocco

Purtroppo l’incanto viene rotto da un episodio deludente, che ci fa stare subito all’erta e risveglia in noi la consapevolezza di non essere totalmente al sicuro. Veniamo fermati dalla polizia. Dietro di noi, fermano altre due auto: tutti turisti. Si capisce perché in Marocco le auto a noleggio presentano la targa nella forma di un adesivo, rispetto a quelle tradizionali poste sui veicoli degli autoctoni.

Ci dicono che abbiamo fatto un sorpasso con la linea continua e che dobbiamo pagare la multa. Ci mostrano un verbale pre-compilato dicendoci che sono 400 Dirham. Il nostro guidatore tira fuori dal portafolio 200 Dirham e glieli porge. Loro li prendono e fanno capire che va bene così. Una volta ripreso a viaggiare, rimaniamo per un po’ in silenzio.

Abbiamo appena assistito a un piccolo (o grande?) abuso di potere e, per non entrare in dissonanza cognitiva tra il nostro comportamento e i nostri valori, decidiamo di intenderlo come il pagamento alternativo per una sorta di pedaggio. Per la cronaca, non avevamo ancora effettuato nessun sorpasso.

In seguito, chilometro dopo chilometro (ne abbiamo fatti quasi 2000!) ci renderemo conto che la segnaletica orizzontale è più una convenzione che una regola da seguire e ancora adesso stentiamo a capire a chi spetti il diritto la precedenza nelle rotonde marocchine.

Questa esperienza ci ha insegnato due cose: è bene avere una risposta pronta intelligente alla domanda “che lavoro fai?” (meglio non sembrare troppo ricchi, ma nemmeno troppo poveri o si sentiranno presi in giro) e anche portare con sé un doppio portafoglio, contenente solo una parte del budget per la vacanza… quanto siete disposti a spendere per il “balzello”?

Paese di Ait Ben Hadou nel deserto marocchino
Vista dal paese di Ait Ben Hadou sul deserto marocchino

Ci consoliamo dall’amarezza con una deviazione che consiglio caldamente a chiunque si trovi nei paraggi: il paesino di Ait Ben Hadou, arroccato su un’altura che guarda una piccola oasi incastonata in un paesaggio argilloso.

Pernottiamo in un airbnb a Ourzarzate, che il giorno seguente ci regala un risveglio soleggiato.

Deserto Merzouga

Deserto Merzouga Sahara
Le dune del Sahara marocchino: Il deserto Merzouga

Intraprendiamo un viaggio di 6 ore lungo strade che potrebbero benissimo essere scambiate per highways dell’Arizona. Ci fermiamo a fare colazione lungo la strada, mescolandoci con gli avventori locali (tutti uomini, che mi guardano con stupore, per cui provvedo a coprirmi capo e spalle) e facendoci servire un’oliosissima frittata al formaggio, la stessa che stanno mangiando loro.

Frittata al formaggio marocchina per colazione
Frittata al formaggio marocchina per colazione

Ci fermiamo poi in un distributore per fare benzina e qui assisto a una scena che mi colpisce: un piccolo incidente, che coinvolge un uomo alla guida di una camionetta e una coppia – marito e moglie – in scooter. (Piccola nota: non è difficile vedere intere famiglie a bordo di moto e motorini, dove tendenzialmente solo il conducente indossa il casco). Il camionista evidentemente ha urtato lo scooter, che è caduto. I due gli urlano qualcosa in arabo (in realtà, forse stavano parlando a bassa voce, ma la loro lingua ha sempre un volume così alto che si fatica a capire quali siano le intenzioni comunicative). Lui scende e, prima di iniziare a discutere, stringe la mano a entrambi e tutti si presentano. Probabilmente la diatriba si sarà conclusa con un nulla di fatto, ma i vari interlocutori avranno portato a casa nuove conoscenze, che potranno sempre venire utili in futuro.

Superiamo poi un paesino in cui avrei voluto sostare, ma purtroppo avevamo i tempi stretti per arrivare puntuali alla partenza dell’escursione sui cammelli. Si chiama Kalaat M’Gouna ed è la splendida cittadina delle rose, paradiso della cosmesi, in particolare per la vendita di acqua di rose naturale.

Cammelli deserto Merzouga
La cammellata nel deserto Merzouga

La cosiddetta “cammellata” nel deserto è una vera esperienza. Conoscendo la mia scarsa fermezza di stomaco e il mio problema di mal di mare e d’auto, avevo paura di non riuscire a godermi il momento. Invece, la passeggiata sul cammello in mezzo alle dune è stata sorprendentemente divertente. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di tenersi ben stretti quando la cammella (a parte il capofila, tutte le altre dovrebbero essere femmine) si alza e si siede per farvi salire a bordo. Se doveste cadere, poco male: la sabbia del Sahara è soffice. Piano piano vi abituerete al ritmo dondolante di questo docile animale e comincerete a godervela come bambini che giocano a palla in cortile, spensierati.

L'alba nel deserto Merzouga
L’alba nel deserto Merzouga

L’escursione nel deserto è di fatto un grande gioco per turisti, organizzata in un ambiente protetto, a due passi dall’albergo (il nostro era L’auberge La Source) e pianificato in ogni dettaglio: la libera uscita sulle dune per ammirare il tramonto, la cena nelle tende (dove non manca l’acqua corrente e si dorme su comodi letti), lo spettacolo di tamburi attorno al falò illuminato dai flash delle macchine fotografiche e l’ultima cammellata all’alba, a cui alcune persone hanno rinunciato perché non volevano svegliarsi presto.

Il lungo viaggio dal deserto a Fes

Viaggio in Marocco Atlante
Paesaggi Marocchini: le montagne dell’Atlante

Vorrei dedicare un breve spazio per spendere qualche parola in onore del più lungo spostamento in auto mai fatto durante la mia permanenza in Marocco: 10 ore di auto, comprese le inevitabili pause (siamo partiti alle 9:15 del mattino e arrivati alle 19 circa). Una giornata intera spesa spostandosi da una parte all’altra del Paese. La cosa più bella è che questo tempo non mi è mai pesato e, anzi, è stato come vivere un film che certamente avrebbe vinto l’Oscar per la miglior fotografia.

Ifran Marocco Rif
Paesaggio montano appena dopo Ifran

Fuori dal finestrino del nostro mitico Berlingo, capeggiato dalla mascotte “Lino il cammellino”, abbiamo visto passare scorci indimenticabili. I nostri occhi si sono riempiti di colori vividi come l’ocra della sabbia, il rosso della terra argillosa, il verde delle oasi, il blu del cielo, il bianco della neve sui monti della catena Atlante; i tetti piatti delle case impastate di terra sono diventati a un certo punto spioventi (ma davvero appuntiti come forse nemmeno nelle piovose Inghilterra o Irlanda) nel paese di Ifran, che guarda caso è chiamato “la Svizzera del Marocco”, immerso in una valle verde circondata da monti innevati. Un viaggio così racchiude tutta la bellezza della trasformazione del territorio, qualcosa che si perde quando si raggiungono le mete in aereo o in metropolitana.

Fes

Fes, Marocco
Vista di Fes

Fes è stata l’unica tappa marocchina in cui siamo rimasti due notti. Appena arrivati, abbiamo fatto una cena improvvisata al Restaurant La Kasbah, la cui terrazza domina la città dall’alto, con vista sulla famosa Porta Blu (che in realtà è blu solo all’esterno, mentre all’interno è verde). Qui abbiamo assaggiato per la prima volta la pastilla, una specie di pastiera napoletana farcita di carne e frutta secca, ricoperta da una spolverata di zucchero… da provare. Abbiamo anche appurato che l’omelette berbera è servita (come tutto) in una tajine, ovvero un piatto di terracotta con coperchio conico in cui vengono cucinati tutti i piatti marocchini (quali il cous cous o il pollo alle prugne) dove carne e pomodoro vengono mantenute calde. Infine, la kafta è carne di manzo, uno degli ingredienti più frequenti della cucina locale oltre a pollo e agnello, ovviamente cucinati con un numero infinito di spezie che rende i sapori irresistibili.

La Porta Blu di Fes
La Porta Blu di Fes

Il proprietario del nostro piccolo Riad (Dar Ikram|indirizzo: 8, Rue Talaa Kebira) è davvero adorabile e ci ricorda che è sempre sbagliato farsi un’opinione basata su generalizzazioni quando si tratta di persone. In un perfetto inglese ci spiega ogni cosa, senza mai togliersi un paffuto sorriso di dosso; ci mostra l’hammam al lato (scritto solo in arabo, non ci saremmo mai arrivati da soli) e ci informa sugli orari: mattino e notte per gli uomini, pomeriggio dall’una alle nove di sera per le donne. Purtroppo ci siamo risparmiati un’esperienza simile, ma ci siamo in seguito documentati a riguardo leggendo questo divertente articolo di The Greta Escape, comprendendo finalmente cosa fosse quel cumulo di materiale oleoso di colore scuro che vedevamo esposto in moltissime bancarelle.

Scopriamo che il venerdì è il giorno santo, quindi tutti i negozi sono chiusi, a parte quelli di chi vuole approfittare dei turisti. In ogni caso, nel pomeriggio chiuderanno anche loro. La cosa non ci dispiace: memori dall’esperienza traumatizzante di Marrakech, siamo contenti di poter camminare per le strade della medina di Fes con tranquillità. Illudendoci di poter decidere il nostro destino nel labirinto di stradine, entriamo prima in un negozio di lampadari e poi in uno di tessuti, per comprare delle sciarpe.

Negozio lampadari Fes
Uno dei tanti negozi do lampadari a Fes

Da lì inizia la nostra rovina, ma anche la nostra fortuna. Senza rendercene conto, veniamo intrappolati in una rete infinita, seguendo i vari negozianti nel loro giro di conoscenze che ci conduce prima alla conceria (la più grande di tutto il Marocco!) e poi nel negozio dove producono l’olio di Argan per la cosmesi. Ci ritroviamo così con due grandi borse piene di pashmine, teli per il divano, ballerine e babbucce in pelle, di cui abbiamo contrattato il prezzo secondo la prassi locale (tendenzialmente, è consigliabile scendere alla metà della cifra che viene comunicata dal negoziante, per poi incontrarsi nel mezzo).

La conceria di Fes
La conceria di Fes

Dalla terrazza da cui ammiriamo la conceria si vede tutta la città, divisa in due dal fiume. La parte andalusa è tutta bianca, compreso il minareto della moschea. Quando la visitiamo ci accorgiamo che lì i mercati sono molto più simili ai nostri: niente spezie esposte in enormi sacchi posizionati in ordine di colore, niente vestiti colorati in stile arabo ma tute da ginnastica che riportano i marchi dei più famosi brand internazionali, niente cappelli di paglia, lampadari etnici o pellame, ma prodotti per pulire la casa, pentole in alluminio, capi di abbigliamento in stile europeo e tanta, tantissima frutta e verdura. I passanti cercano di attirare la nostra attenzione in ogni occasione buona, ma senza un reale motivo, come se fossero meno abituati ai turisti. Nella parte islamica, notiamo, sono più organizzati. Si supportano a vicenda nell’approccio ai turisti, proprio come quando ci hanno fatto fare il “tour” che volevano loro.

La parte più bella della giornata è avvenuta quando ci siamo ostinati a cercare di visitare una fabbrica di ceramica, incuranti del sole a picco e delle guide abusive di tuk tuk che in ogni modo hanno cercato di abbindolarci (rivolgendoci diversi insulti quando hanno capito che non avremmo ceduto alla nostra decisione di andare a piedi).

Quartiere fuori dalle mura di Fes
Quartiere fuori dalle mura di Fes

È stata dura perché sono insistenti e non mollano. Il loro trucco, oramai compreso, è fingere di lavorare in un luogo di interesse turistico mostrando un biglietto da visita. Se riescono ad agganciarvi, anche solo per gli ultimi 10 metri, diranno all’addetto del luogo che sono stati loro a portarvi lì, cercando di prendersi il merito e anche un po’ di Dirham come provvigione.

Nonostante le difficoltà, siamo riusciti a raggiungere la nostra meta e ad ascoltare la spiegazione della guida (una persona che davvero lavorava nella fabbrica) riguardo a tutte le fasi di lavorazione della ceramica, svolte in diverse stanze e purtroppo vuote a causa del giorno di festa. In realtà, forse è stato meglio così, perché le condizioni di lavoro di quelle che con tutta probabilità dovessero essere donne mi sono parse tutt’altro che ottimali.

Al ritorno, per evitare il continuo bombardamento di marocchini in cerca di spiccioli, decidiamo di prendere strade alternative per risalire verso la medina. Finiamo così nella vera Fes, quella vissuta dagli autoctoni, in cui le strade non sono ciottolate e sono prive di bancarelle turistiche. Prima di addentrarmici, mi sono dovuta coprire le braccia con una delle sciarpe acquistate in precedenza, perché mi sentivo davvero osservata e fuori luogo.

Ci siamo così gettati a capofitto tra odori di ogni genere, percorrendo con curiosità vicoli pieni di vita. Ci sentivamo dei VIP: tutti ci guardavano con ammirazione e non perdevano l’occasione di salutarci in una delle lingue europee di loro conoscenza. “Bonjour”, “Hola” o “Buenas Tardes” diventavano l’atto di coraggio dei più spavaldi della compagnia, che si allontanavano dal gruppo per provare quelle parole che raramente hanno l’occasione di pronunciare.

Chefchaouen

Stradina Chefchaouen
Chefchaouen

È sabato e viaggiamo per tre ore lungo strade morbide, lasciandoci cullare da paesaggi collinari di un verde intenso che risplende al sole, lo stesso che dora le spighe di grano e che riscalda l’aria quasi a 30 gradi. Mi rendo conto che oramai gli animali non mi impressionano più, né morti né vivi. Li abbiamo cavalcati, accarezzati, visti brulicare, curiosare, mangiare, unirsi in atti tanto naturali e proliferi come il terreno su cui poggiano le zampe e che ogni giorno rappresenta un’avventura di sopravvivenza. La vita ci scorre davanti agli occhi come mai accade nelle nostre quotidianità cittadine e i pensieri galleggiano leggeri nelle nostre menti, accarezzando i rilievi del Rif come aria e l’anima come desideri ritrovati. Poi, ecco Chefchaouen che ci appare in tutto il suo magico splendore, nel blu dipinto di blu.

La città blu è incantevole. Camminare per le sue stradine color indaco è come vivere un sogno a occhi aperti. I bambini giocano, sorridono, le signore anziane salutano i turisti sedute sul ciglio della strada, davanti alle loro case intonate con il cielo. Gli sguardi degli uomini non sono più maligni, ma gentili e disinteressati.

Medina di Chefchaouen
Un negozio nella medina di Chefchaouen

Parlo con il proprietario di un piccolo negozio di arte locale, che mi spiega di sapere che hanno iniziato a dipingere la città di blu nel 1991, ma non ne conosce il motivo. Lui infatti viene dal deserto e per lui quel colore rappresenta la libertà. Col senno di poi, ora comprendo che quello era il primo indizio di una nuova consapevolezza: l’esistenza della popolazione dei Berberi instauratasi tra quelle valli.

Uno dei nostri compagni di viaggio si documenta e ci spiega le sue scoperte: nati come popolo nomade e politeista, i Berberi erano soliti spostarsi per seguire rotte commerciali e per cercare luoghi più consoni dove praticare pastorizia e agricoltura. Si deve a loro l’addomesticamento dei dromedari (fino ad allora mai utilizzati) come mezzo di trasporto, cosa che li rese molto graditi agli occhi sia dei romani che degli arabi, i loro rispettivi conquistatori. I Berberi sono anche un popolo di origine matriarcale e, se presto attenzione, è facile rendermene conto: loro infatti tengono prima in conto dell’opinione delle donne. Mi è accaduto in un negozio di tappeti, in cui fra tre uomini sono stata la prima a essere interpellata. Quelle meravigliose opere tessute con telai in legno sono decorate con l’alfabeto berbero e non hanno la funzione di preghiera, ma puramente ornamentale. Nonostante pensavo di avere ormai imparato a non farmi soggiogare dall’impeto commerciale dei marocchini, Berberi o Islamici che fossero, di nuovo cado nella trappola della compra-vendita e mi ritrovo a sorseggiare tè alla menta offerto gentilmente per prendere tempo durante all’intrattenimento dei tappeti: un signore ce li mostra, un altro ce li spiega e ci insegna la pratica del sì e del no. Ci ritroviamo quindi a “giocare” con loro, comunicando in un maldestro arabo cosa ci piace e cosa non ci piace, con la netta sensazione che non saremmo potuti uscire da quel luogo a mani vuote.

Tramonto sulla città blu
Tramonto a Chefchaouen

A Chefchaouen i miei compagni di avventura assaggiano la carne di cammello ordinando un hamburger nel Cafe Clock, dove camerieri gentili ci servono le vivande su una terrazza suggestiva, incastonata tra i monti e con vista sul minareto bianco di una moschea arroccata. In questo locale traditional chic ogni ricetta segue la tradizione, ma viene servita in una formula molto accattivante, degna di un locale milanese di tendenza. Gustiamo coloratissimi smooties di frutta fresca (da provare quello di avocado!), che scopriremo essere ottimi anche nei locali meno turistici. Uno di questi è quello che scegliamo (un po’ a caso a dire il vero) per cena: si tratta del Restaurante Moulay Ali Ben Rachid, situato appena fuori le mura della medina e frequentato da gente del luogo. In poche parole abbiamo speso 205 Dirham in totale per quattro persone e per una cena di pesce. Sì, 5 euro testa.

Il vero cibo di strada marocchino
Il vero cibo di strada marocchino

Il giorno della nostra dipartita dalla città blu, l’oste del locale in cui facciamo una delle nostre tanto amate quanto abbondanti colazioni (questa volta proviamo pure l’hummus di fagioli, in cui intingiamo la moufleta, quando non non la pucciamo nell’olio più gustoso che io abbia mai provato, alternandola a succose olive verdi e nere) ci spiega che Chefchaouen è famosa per tre cose: la marijuana (raccolta a settembre e per la cui produzione è leader mondiale), la lana (quella usata per i tappeti) e l’acqua fresca (siamo in montagna, dove zampillano sorgenti freschissime).

Tetouan

Tetouan vista dall'alto
Tetouan dall’alto

Il nostro viaggio è ormai giunto al termine e io mi rendo conto di quanto il viaggiare con tre uomini abbia influito sul suo svolgimento. Giorno dopo giorno ho imparato a guardare le cose dal loro punto di vista, cercando di comprenderne i meccanismi, osservando la loro intraprendenza troppo spesso competitiva e le loro emozioni emergere nelle meravigliose fotografie scattate insieme. Mi sono persa molte cose che avrei potuto fare con delle ragazze, per esempio provare la depilazione con il filo arabo o fermarmi più spesso nelle bancarelle che vendevano prodotti di mio interesse, così come nei negozi di cosmetica naturale o negli hammam, in cui non ho voluto entrare da sola più per rifiuto di un divertimento in solitaria che per mancanza di coraggio (come ho accennato, sono divisi per uomini e donne). Ho compreso che l’equilibrio tra il rispetto che sottende equità e i gesti che rivelano un’innocua ma percepibile forma di maschilismo è sottile, ma anche che il senso di protezione che il sesso maschile sa dare a quello femminile è benevolo e mi ha permesso di fare esperienze con una leggerezza che probabilmente non avrei avuto da sola.

È domenica e noi stiamo per raggiungere Tetouan, che è stata capitale del Protettorato Spagnolo dal 1912 al 1956. Arriviamo in questa moderna città dopo aver percorso campi arati come nel passato, seminati con gli asini e raccolti a mano dalle donne. Di nuovo, penso di non aver mai visto tanti animali – vivi o morti – come in Marocco. Quando avvistiamo il mare, ci fermiamo in una piazzola per scattare foto panoramiche. Qui troviamo una vecchina con il suo asinello. Mi mostra la sua merce: menta e piselli, che mi apre orgogliosa davanti agli occhi. Poco più avanti, tre ragazzini stanno facendo pascolare i capretti; alcuni sono molto piccoli e il loro verso sembra quello di un bambino.

Gatto nella piazzola
Gatto nella piazzola

La città ci pare subito sporca come tutte le grandi metropoli. Lo stile architettonico è andaluso, le case sono infatti tutte dipinte di bianco e le infrastrutture sono contemporanee. Avvistiamo subito il grande edificio che ospita la facoltà di scienze dell’Università e, passeggiando fuori dalla medina, ci imbattiamo nel primo negozio di abbigliamento in stile occidentale. Mi compro così una maglietta da Marwa, i cui manichini hanno sembianze simili a quelli a cui sono abituata e non le forme abbondanti di quelli che si vedono normalmente lì in giro (mi hanno davvero colpita). Lo faccio per necessità, perché ho finito i cambi e i negozi della medina vendono solo abiti femminili lunghi.

La cosa che ci sorprende di più è che siamo gli unici turisti. I commercianti e i passanti ci ammirano sorridenti, impressionati ma più rispettosi rispetto a quelli di altri luoghi visitati. Immancabili, naturalmente, sono gli approfittatori, ma per fortuna abbiamo imparato a gestirli.

Dopo un primo momento di sconforto, un po’ per la sporcizia e un po’ perché siamo stanchi del caos delle medine, troviamo un divertimento impareggiabile: ci lasciamo trascinare dallo spirito del mercato alimentare e – tra uno spennamento di gallina e una testa di capretto sanguinante – compriamo frutta, pane, ricotta di pecora, dolci alla panna, frittelle ricoperte di zucchero, datteri giganti e olive a volontà, di ogni forma e colore.

Oramai le discutibili condizioni igieniche delle attività commerciali non ci turbano più e siamo i primi a toccare con le mani i prodotti, per tastarne la qualità. I negozianti ci trattano con rispetto e sembrano contenti della nostra intraprendenza. Se non troviamo qualcosa, chiamano a rapporto la loro solita rete di conoscenze, grazie alla quale ci aiutano a raggiungere chi vende il té verde, chi le posate, chi bottiglie d’acqua.

Lungo la strada incrociamo bambini col pallone che sono felici di fare un tiro con noi. Siamo lontani dalle bancarelle turistiche che vendono porcellane, pellame e lampade dai gusti europei. Siamo nel vero cuore del Marocco cittadino.

Prodotti del mercato
Prodotti freschi acquistati al mercato

Consumiamo la nostra cena frugale nella saletta vetrata del Riad Darna, un ostello che consiglio vivamente. È pulito, elegante e dipinto di una tonalità di turchese che mette di buon umore. Sul tetto c’è un’accogliente terrazza dove servono una deliziosa colazione, con abbondanza di tè, latte e caffè.

Riad Darna
Ingresso del Riad Darna a Tetouan

Tangeri

Mare vicino Tanger
L’Oceano Atlantico che bagna Tangeri

Tangeri è una città ancora più europea di Tetouan. Scopriamo che è stata parte del Protettorato Spagnolo dal 1912 al 1922, per poi diventare città internazionale fino all’indipendenza del Marocco del 1956.

Le persone qui paiono di mentalità aperta e parlano tre lingue: arabo, francese e spagnolo. Come avevamo già notato a Chefchaouen, il Marocco del nord è destinazione turistica anche nazionale. Infatti, quando ci rechiamo sulla costa bagnata dall’Oceano Atlantico per visitare le suggestive Grotte d’Ercole, siamo attorniati da turisti anche locali, che mangiano con noi una deliziosa tajine di pesce circondati da gatti e galline.

Tajine di pesce in riva al mare
Tajine di pesce in riva al mare

Qui il vento colpisce con decisione una spiaggia immensa, dove i cammelli fanno passeggiare turisti talmente presi dalla loro goffa diversione da non sembrare accorgersi delle incantevoli sfaccettature di azzurro increspato dalla schiuma di onde ribelli. Gibilterra è dietro l’angolo.

Cammelli sulla spiaggia in Marocco
Cammelli sulla spiaggia di Tangeri

Seduta in riva al mare con un foulard che tiene a bada i miei capelli e la sabbia che mi solletica il viso, penso che quello che più il Marocco mi ha lasciato da questo viaggio sia il legame con la natura. Questo Paese innegabilmente povero e corrotto non conosce ancora del tutto il lusso di una quotidianità fatta di spese nei grandi supermercati, di serate al ristorante o degli aperitivi per dimenticare i problemi. È vero, a Tangeri vedo per la prima volta un McDonalds e una Decathlon per la seconda. Ma non si tratta della prassi.

La normalità qui è fatta da una cucina che va direttamente dalla terra alla tavola, passando dalle bancarelle del mercato, dove diventa una scusa per socializzare e intrattenersi. Non serve altro per dare sapore alla propria vita. All’inizio tutto questo mi infastidiva perché mi sembrava riduttivo, specialmente nei confronti delle donne, le quali – soprattutto nelle zone più rurali del centro-sud – sono destinate ai lavori più duri: quelli nei campi o nelle cucine. Tanto efficienti quanto caserecce, sono loro a regalare piatti invitanti pronti per Instagram.

Mentre camminavo sulla spiaggia, ho capito tutta la bellezza dell’intensità di questo stile di vita, costantemente in lotta con la morte in un gioco di contrattazione al profumo di spezie.

Per concludere la giornata al meglio, ceniamo in un delizioso ristorantino chiamato Rif Kebdani, un posticino accogliente con vista sul porto, che serve originali piatti di pesce i cui prezzi sono un po’ più alti della media ma per cui ne vale certamente la spesa. (Mi stavo per dimenticare! In Marocco, come in molte altre parti del mondo, è bene lasciare sempre un po’ di mancia nei luoghi dove si viene serviti al tavolo).

Conclusioni: quello che del Marocco non vorreste ricordare e altri pensieri

Bandiera del Marocco
Bandiera del Marocco

Leviamoci subito il sassolino nella scarpa: le spese. A quanto dovrà ammontare il vostro salvadanaio per potervi concedere una vacanza di questo tipo? (Per la cronaca, siamo partiti il giorno di Pasqua e tornati il 30 aprile). Noi abbiamo speso, a testa, 264 euro di voli, 110 di noleggio auto, 142 di alloggi + altri 20 euro di assicurazione. Inoltre, io personalmente ho usato altri 330 euro per acquisti personali, regali e benzina. Facendo due conti, siamo a quota 860 euro, tutto compreso per 9 giorni.

C’è infine un episodio che cancellerei volentieri dalla mia memoria di viaggiatrice, ma che al contempo è stato per me una piccola lezione di vita.

L’ultimo giorno a Tangeri, siamo partiti appena dopo l’alba per l’aeroporto, dato che il nostro aereo avrebbe lasciato il Paese la mattina presto. La sera prima, tornati dal mare, avevamo deciso di fare una sosta perlustrativa per organizzare la riconsegna dell’auto, memori dalle difficoltà riscontrate al nostro arrivo in terra marocchina.

Dopo essere entrati nel parcheggio e aver girovagato invano per un po’, proviamo a chiedere informazioni ai ragazzi dell’autolavaggio con scarso successo: di nuovo non riusciamo a trovare l'”omino” della Hertz di turno. Entriamo così nell’aeroporto e chiediamo direttamente al bancone apposito. Ci dicono che non c’è nessun problema e che l’indomani ci avrebbe atteso fuori per concludere la pratica in tempo per il nostro volo. Col senno di poi, avrei dovuto immaginare che le promesse marocchine valgono il tempo che trovano e che il dire di “sì” è più un fatto culturale, una cortesia come un saluto.

Così, il giorno della nostra partenza, ci ritroviamo in coda davanti al punto Hertz a guardare il cartello che indica l’orario di apertura alle 7 del mattino, insieme a una coda di turisti che tenta invano di chiamare il numero di telefono indicato in calce, controllando nervosamente un orologio che segna quasi le 8. Tutti hanno fretta di imbarcarsi e poca fiducia nel lasciare le credenziali della propria carta di credito scoperte, senza prima aver appurato che tutto sia a posto.

Con tutta la calma di questo mondo, dopo che molti avevano oramai desistito e abbandonato la fila, finalmente un addetto decide di mettersi a lavorare. Quando termina, ormai è tardi e dobbiamo scheggiare a fare il check-in allo sportello Ryanair, dato che non abbiamo avuto modo di stampare la carta d’imbarco e pare che la versione digitale non basti: serve un timbro.

Intuiamo che dobbiamo nuovamente compilare il foglietto con i nostri dati, lo stesso riempito all’andata, e per fortuna riusciamo ad accaparrarci gli ultimi quattro rimasti nel totem apposito. Già piuttosto innervosita per il mancato rispetto dimostrato dai lavoratori aeroportuali (ok, appartengono a una cultura diversa dalla mia, ma non stanno forse ricoprendo un ruolo in un ambiente internazionale?) mi avvicino al banco del check-in. Qui una ragazza apparentemente svogliata (ma in realtà molto sveglia) lascia che sia io la prima ad agire: mossa dalla fretta, le consegno subito passaporto, foglietto identificativo e telefono con schermata aperta sulla carta d’imbarco.

Lei mette tutto dietro il bancone, poi mi chiede di darle il bagaglio a mano (provo a cercare di comprenderne il motivo, ma poi desisto e la lascio fare), fa passare ancora un po’ di tempo e poi mi annuncia con uno sguardo vispo e un sorriso smagliante: “Have a good flight!”. Io mi riprendo la mia valigia, la guardo e le dico che mi servono passaporto e biglietto. “I need them” sono le mie parole piuttosto scocciate. “Of course”, mi risponde lei consegnandomi quanto richiesto.

Schizziamo ora al controllo bagagli, finalmente con tutto il necessario per ripartire. È in quel momento che mi rendo conto che con me ho ancora 500 Dirham i quali, non essendo valuta di scambio corrente, non potrò recuperare in Italia (oltre al fatto che sarebbe illegale portarli fuori dal Marocco). È veramente tardi, ma i miei compagni di viaggio decidono di tentare lo stesso e tornano indietro per cambiare il denaro. Mentre li aspetto, sento dall’altoparlante che uno di loro viene richiamato. Lo vedo correre e recarsi al desk della Ryanair, chiedendomi cosa mai fosse successo, Alla fine, nulla. Gli hanno detto che volevano controllare il suo bagaglio da stiva, ma lui non aveva imbarcato nessuna valigia.

I ragazzi tornano, reduci dall’ennesima contrattazione per cambiare il denaro. Possiamo finalmente procedere e io inizio a tranquillizzarmi, pensando che sull’aereo potrei ascoltare un audiolibro dal mio telefono. Ma dov’è il mio telefono? Lo cerco ovunque e ci metto poco a capire che l’ho perso. Mi attribuisco subito la colpa, biasimandomi per la mia scarsa attenzione nei passaggi di mano in mano di vari oggetti importanti. Mi dev’essere scivolato via. Nonostante il mio primo istinto fosse stato quello di proseguire, stremata dalla confusione, decido di ascoltare il consiglio di andare a controllare se per caso lo avessi dimenticato al banco della Ryanair.

Riprendo vigore e corro via, facendo lo slalom tra persone e tagliacoda. Noto subito che lo schermo del check-in oramai è spento, ma ci sono ancora tre addetti che confabulano lì dietro, compresa la ragazza con cui mi sono interfacciata in precedenza. Affannata ma con gentilezza, dico decisa: “I probably forgot my telephone here”. Per un lungo istante, mi guardano tutti senza dire una parola. Poi, uno di loro decide di graziarmi e, con sfacciata consapevolezza mi mette il mio telefono in mano, dichiarando con un sorriso beffardo: “We are always here for you”.

Epilogo

Bambini marocchini
Bambini marocchini fuori da scuola

Sull’aereo, sono seduta vicino a una coppia di novelli sposi. Sono giovani, belli e stanno per trasferirsi a vivere in Italia. Lo capisco sentendoli comunicare tra loro in inglese, deducendo che lui sia figlio di immigrati marocchini residenti in Italia e che lei abbia invece sempre vissuto in Marocco. Con la sua mano ricamata di hennè e lunghe unghie dipinte di un rosa perlato, mi supera con dolcezza per toccare il finestrino, dando un bacio alla sua terra che si allontana dall’alto del decollo. Mi volto e abbozzo un sorriso verso i suoi occhi languidi, ma in realtà sto ribollendo di rabbia.

Mi piace pensare di essere una persona dalle larghe vedute, ma la verità è che molte volte perdo la ragione. L’empatia mi porta a cercare di comprendere gli altri, ma gli strumenti che ho a disposizione spesso non bastano. Vorrei essere in grado di accettare sempre l’espressione della personalità altrui, sacrificando la mia. Quando però percepisco il senso dell’ingiustizia, quando i miei tentativi non vengono capiti o peggio ignorati, la buona volontà viene meno e questo è male.

Scrivere in viaggio
Scrivere in viaggio

È male perché c’è sempre una lezione da imparare. Mentre dal cielo guardo il mare increspato sotto il sole di mezzogiorno, penso che alla fine la vita sia un grande gioco. Si gioca per sopravvivere e per vivere bene. Si gioca con le proprie intelligenze, non tanto per competere a chi è il migliore quanto per usarle. Il mio problema è che sono ingenua e abituata, nonostante tutto, a fidarmi delle persone e del sistema, lo stesso che tanto critico. Non vorrei, ma troppo spesso mi adagio agli standard. Questo viaggio è stato l’ennesima esperienza che mi ha fatto capire l’importanza di continuare a farsi domande per capire i meccanismi di questa meravigliosa giostra su cui danziamo ogni giorno.

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