Stamattina, al lavoro, ho ascoltato De André. Si, al lavoro. Si, De André. Ho ascoltato la musica perché è una delle cose belle che ho sperimentato negli uffici delle aziende dove sono stata a Barcellona, proprio mentre si lavora. In certi momenti aiuta, specialmente quando hai bisogno di sentirti qualcosa di più di due mani che inseriscono informazioni in un foglio Excel. Ho ascoltato De André per ricordarmi come si fa a pensare.
“Dunque questa è una canzone che risale al 1962 in cui dimostro di aver sempre avuto, sia da giovane sia da anziano, pochissime idee ma al contempo fisse. Nel senso che in questa canzone già esprimo quello che ho sempre pensato: che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore. Anche perché non ho ancora capito bene cosa sia esattamente la virtù e che cosa esattamente sia l’errore, perché basta spostarci di latitudine che vediamo come i valori diventino disvalori e viceversa. Non parliamo poi dello spostarci nel tempo. C’erano morali nel Medioevo e nel Rinascimento che oggi non sono più assolutamente riconosciute. Oggi noi ci lamentiamo, vedo che c’è un gran tormento sulla perdita di valori. Bisogna aspettare di storicizzarli, io non penso che i giovani di oggi non abbiano valori, hanno sicuramente dei valori che noi non siamo ancora riusciti a capir bene perché siamo troppo affezionati ai nostri. Tutto questo per dire che io non ho nessuna verità assoluta in cui credere, che non ho nessuna certezza in tasca e quindi non la posso neanche regalare a nessuno, va anche molto bene se posso regalarvi una qualche emozione.”
L’umiltà di quest’uomo è una delle finzioni più belle di tutte. Come la performance di un attore che ti fa commuovere o come una delle sue canzoni, così intinte in atmosfere di altri tempi da confondere la musica con la poesia e il testo con il canto. De André era un personaggio complesso, ma ben definito. Sicuramente era una persona complessa, ma dai confini sfumati. Chi era veramente? Il suo grande amico Paolo Villaggio parla di lui come di un cialtrone, uno che andava a letto alle 7 del mattino e si svegliava alle 21 del giorno dopo. Uno che aveva una fottuta paura di non avere successo. Uno che bestemmiava quando gli chiedevano con insistenza di cantare per loro, ma che poi dovevi trascinarlo via a forza per farlo smettere. Dio, poi, è una presenza forte nei suoi testi, tanto da avervi dedicato un intero album. Però lui non credeva in niente.
De André mi fa riflettere e mi fa pensare all’Italia. Mi porta a chiedermi chi siamo veramente, chi sono veramente? Sono un milione di etichette e un miliardo di “non cambierai mai”. Sono la bambina magrolina, la ragazza che vive a Barcellona, l’amica che ascolta solo canzoni tristi. Sono io a 26 anni, a 25, a 17,a 10, a 5. Sono quella che quando tornerà a Piacenza, sarà la solita, vecchia, bella o brutta, storia.
Un po’ come l’Italia, che se vai a La Tagliatella a Barcellona te la immagini come se lì tutti vivessero in una scena de Il Padrino e se ascolti De André hai solo voglia di visitare le strade delle sue città. Perché nascondono i misteri più intriganti e profumano della storia delle persone che ci vivono, prostitute, emarginati, giudici, mafiosi, contadine, borghesi.
Un giorno un’amica mi ha scritto questa frase: “L’Italia è più bella se la guardi dall’estero“. Io penso non ci sia verità più grande e aggiungo che l’Italia è più bella anche se la guardi dagli occhi di De André. Il punto è che è tutta una questione di filtri, del filtro che metti davanti agli occhi per guardare la tua giornata, la tua situazione, la tua vita. Ed è così bello usare i filtri, ma è così difficile far usare il tuo filtro alle altre persone … non lo vogliono mai. Ancora devo ben capire perché quando si trova un bel posto in cui vivere non si possano prendere le persone che si amano, metterle su una nave e portale tutte lì. Così come ancora non mi è ben chiaro perché non bastino due o tre fiori per le strade e un sorriso sul viso delle persone per rendere un posto stupendo.
Ho però perfettamente compreso l’effetto che hanno i filtri degli altri su di me. Alcune volte sono come una mazzata di realismo che mi sotterra nel terreno più arido che si possa avere sulla faccia della Terra, ma tendenzialmente mi danno la stessa sensazione resa da qualcuno che fa partire una canzone in una stanza fino a quel momento silenziosa. E così anche una delle strade più degradate di Genova può essere popolata da graziose donne. E così anche durante un lavoro monotono puoi fare incontri incredibili. E così anche una città triste può diventare un posto dove si pensa e si vive forte.
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
Un pensiero su “L’Italia è più bella se la guardi dall’estero”