Stranieri.

Presto il nostro appartamento sarà un po’ più vuoto perchè gli ultimi ad arrivare saranno anche i primi ad andarsene. Se ne andranno in un posto più bello, tutto per loro, con spazio per fare quello che vogliono senza troppe regole ingombranti appese in ogni angolo libero. Se ne andranno ad attendere con pazienza il loro bambino, che per fortuna un bel giorno si sveglierà in una culla calda, in terra straniera ma con mamma e papà. Quando questa coppia di ragazzi è venuta a vivere insieme a noi, inizialmente ero un po’ perplessa. Lo sono sempre di fronte a qualcosa che stravolge un’abitudine e oramai mi ero abituata alla compagnia del ragazzo italiano che li ha preceduti, con i suoi modi espansivi tipici di chi viene dal sud, ma sicuramente molto più simili ai miei rispetto a quelli di una coppia di colombiani. Mi sono resa conto che mai in vita mia avevo pensato alla Colombia: e perchè mai avrei dovuto? Sono latini, punto. Parlano spagnolo? Bene. Mi fermo qui. Mi sono da subito sembrati strani: sempre chiusi nella loro stanza, silenziosi e non cucinavano mai. Hanno passato la prima settimana ad uscire tutte le sere per cena, per poi rientrare prestissimo a dormire. Il finesettimana sempre in casa e di giorno, mentre lui andava probabilmente a lavorare, lei rimaneva tutto il tempo a letto a dormire. Un bel giorno, mentre stavamo cenando, lui si avvicina annunciando una notizia: lei è incinta. Che bello, penso io, mentre taglio un altro pezzetto di petto di pollo. Però, mi è venuto bene stasera, anche se forse avrei dovuto metterci un po’ di limone. Ci dormo su e il mattino dopo, mentre senza tregua continuo la mia ossessione per la cucina da perfetta casalinga disperata, penso che deve essere tanto stanco un corpo che si sta abituando ad ospitare un piccolo esserino dentro di sè. Forse è per quello che Maria dormiva sempre. Qualche volta, mentre siedo alla scrivania della mia stanza, intravedo lei che esce dal bagno e si tocca la pancia … la vedo camminare piano, con quell’andatura un po’ strana che oramai ho imparato a conoscere, ma che allora ancora non riuscivo ad identificare bene. Mi accorgo che ha dei capelli bellissimi: lucidi, neri, lunghi. Mi rendo conto che mangia pochissimo, perchè ha le nausee mattuttine e a quanto pare anche pomeridiane e serali … poverina, ha una faccia distrutta! La vedo sempre andare in giro con un pigiama di pile di quelli che ti aumentano di 2 taglie, e che ti fanno sembrare un peluches gigante. Ma come fa ad avere tanto freddo se in pieno inverno a Barcellona ci sono 16 gradi? Ogni tanto scambiamo due parole, e cioè le uniche che riesco a capire dato che le altre 10 che ci sono in una frase se le mangia o le biascica fuori in una lingua a me incomprensibile. E io che pensavo di averlo imparato un po’, lo spagnolo. Lui invece è più di compagnia e la sera ci racconta un sacco di storie. Scopro che sta facendo un master in criminologia e che è interessato alla cultura europea, alla storia, alle persone in generale. Spesso fa domande strane come “tu sai perchè alla sera viene buio tanto presto?” e continua a dire che fa freddo. Dopo un po’ che gli ripetiamo che in Italia fa molto più freddo, decidiamo di smetterla per non spaventarlo perchè lui vuole viaggiare e visitare tutte le città che abbiano una storia da raccontare, ovvero tutte le città d’Europa. Sa la storia di Murano e di come fa ad essere tanto famosa per i suoi vetri. Conosce tutti i monumenti di Roma e di Parigi senza averli mai visti. Parla dell’istruzione come di un dono, perchè in Colombia devi nascere fortunato per averne una. Parla dei Colombiani come di persone vive, festaiole, amichevoli, calorose … forse troppo. Dice che non smetterebbero mai di fare festa, che per loro fare festa è più importante del lavoro, infatti in occasione del carnevale si fermano per 2 settimane e si blocca tutto: la produzione e persino la polizia! Scopro che essa è unica, per tutto, e che le loro uniformi ricordano quelle naziste, solo che nessuno le cambia perchè la gente non ci dà peso. Quella gente non conosce la propria storia, figuriamoci quella europea. Tutte le volte che Maria ha voglia di cucina colombiana (cioè sempre) lui esce a comprargliela e alla fine trova sempre un ristorante che la cucini, qui a Barcellona. Torna a casa con arepas fumanti e platano ripieno di formaggio e la sua sposa finalmente si nutre, con gusto. Ogni volta che cuciniamo ci fanno domande sul cibo ed è sempre un gran casino perchè la risposta la conosciamo, ma non la sappiamo dire in spagnolo. Ci sono così tanti nomi di frutta, verdura, spezie, piatti che servirebbe un vocabolario solo per quello! Io fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno dire “cucchiaio”, “coltello” e “forchetta”, figuriamoci spiegare che quella è una zucchina, una melanzana, una frittata, una torta, una mozzarella. Iniziamo a ridere molto insieme. Una sera lei ci propone di giocare a carte. Io odio giocare a carte. Non mi piace perché non sono capace. Giochiamo a 51, cioè a scala 40. Esatto, non so giocare a scala 40 anche se mia nonna ci avrà provato 100 volte ad insegnarmelo da piccola, ma io ero cosí stupida da non aver né voglia di contare, né di abbandonare le mie Barbie. Passiamo la serata ascoltando musica latina e italiana e cantando a squarciagola Eros Ramazzotti, ciascuno nella propria lingua. Alla fine ho pure vinto una o due volte e sinceramente non vedo l’ora di fare un’altra partita.

Per l’Immacolata siamo andati tutti in gita: abbiamo affittato un’auto e abbiamo viaggiato fino a Montserrat, per poi concludere la giornata al Tibidabo. Abbiamo camminato fino una croce, mangiato, visitato un monastero e una chiesa. Abbiamo chiacchierato con un po’ di incomprensioni, ma non importava perché i momenti per ridere si capiscono sempre al volo (e vedere il nostro autista condurre un’auto con il cambio automatico per la prima volta in vita sua è stato certamente uno spasso).

 
 

Questa coppia di ragazzi mi ha insegnato tanto e mi dispiacerà molto non vederli più in giro per casa avvolti nei loro pumini nuovi di pacca, usati più come vestaglia che come giacca per uscire. Mi hanno un po’ dato una svegliata, per farla breve. Mario mi ha fatto venire voglia di leggere e di non smettere di informarmi. Maria mi ha insegnato la pazienza, la calma e la sopportazione della fatica. Ma la cosa più importante è che mi hanno insegnato a non essere triste per la loro partenza, perché i cambiamenti non per forza sono negativi, ma sono delle bellissime opportunità.

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