L’esperienza della gravidanza è diversa per ciascuna donna e questo è sicuramente il punto di partenza di qualsiasi riflessione che si possa fare riguardo a questo tema. Probabilmente, questo è anche il motivo per cui moltissime donne sentono di condividere quello che hanno vissuto, così personale e speciale, in questo periodo così straordinario della loro vita. C’è chi usa i social media, raccontandosi settimana dopo settimana, come ha fatto per esempio Violet. C’è chi ci fa su un podcast spassoso, come ha fatto Lodovica Comello in L’Asciugona, che smorza la tensione e spazza via i luoghi comuni con l’occhiolino. C’è chi lo fa in modo professionale, come la bravissima ostetrica Alessandra Bellasio e c’è chi, semplicemente, si racconta un po’ di qua e un po’ di là: con le amiche, con il mondo la fuori, ma principalmente con sé stessa.
Perché la verità è che non si può comprendere davvero questa esperienza finché non ci si è dentro fino al collo.
Questa è la mia, che decido di pubblicare principalmente perché ne ho bisogno io. Perché questo blog è sempre stato il mio spazio di espressione personale e di sperimentazione sociale. Un luogo sicuro che so essere letto da persone intelligenti e aperte e che so essere sempre lì, pronto a ricordarmi cosa ho fatto e perché. A ricordarmi chi sono e chi ero.
Il dolore prolungato è peggio di quello immediato
Amara verità di chi come me ha scoperto che reagisce male al progesterone, un ormone che in gravidanza si produce in gran quantità (lo stesso responsabile del mal d’auto). E così mi sono ritrovata a subire una nausea straziante, che non mi ha dato tregua né di giorno né di notte, rendendomi incapace persino di stare in piedi autonomamente. E non parlo di quella sopportabile con rimedi naturali come le caramelle allo zenzero, no, quella è venuta dopo e ancora c’è, alla 36esima settimana di gravidanza. Parlo di un dolore che mai avevo provato in vita mia, un malessere senza fine che ti toglie sinceramente la voglia di vivere.
Il problema di certi mali è che non si vedono: la pelle di una donna incinta è infatti tendenzialmente splendente, così come i suoi capelli. L’aspetto che ho assunto in questi mesi non tradiva nulla di quello che stavo provando e solo chi ha vissuto con me i primi quattro mesi ha potuto intuire quanto stessi male.
E così, mi sono sentita dire (implicitamente, che è pure peggio) che ho una bassa soglia del dolore, che certi “fastidi” sono normali, che “almeno” riuscivo ad alimentarmi. Mi sono sentita chiedere quante volte avessi vomitato, come se questa manifestazione di malessere fosse l’unica contemplabile, l’unica degna di essere considerata grave e quindi degna di attenzione. E sì, ho vomitato diverse volte, e se proprio devo dirla tutta, desideravo che accadesse, perché dopo mi sentivo meglio. Si, mi è anche “andata bene” perché in quel periodo ho perso solo tre chili e non sono mai dovuta andare al pronto soccorso per delle flebo. Il pensiero che l’esserino dentro di me fosse al sicuro è stato per molti mesi l’unico in grado di farmi andare avanti.
Il corpo cambia e non solo il peso
Le cose che possono succedere al corpo di una donna incinta hanno dell’incredibile. Io, devo dire, ho avuto “la fortuna” di provarle tutte. All’appello manca solo il mal di testa e il mal di schiena, di certo non piacevoli, ma certamente piuttosto banali. (disclaimer: il mal di schiena alla fine è arrivato, un bel dolore sciatico da manuale!)
Ma vogliamo paragonarli al prurito notturno che pervade ogni centimetro del corpo (specialmente schiena, braccia e pancia)? Pare sia dovuto al fatto che la pelle diventa più elastica, preparandosi a ospitare il bambino. Addirittura, una delle ultime settimane, mi sono ritrovata a provare per la prima volta nella mia vita l’acufene. Sentivo un fastidioso rimbombo nelle orecchie, che rendeva difficile addormentarmi. Ebbene, anche questo è un possibile effetto della gravidanza, dovuto alla pressione sanguigna. E poi c’è il fantastico reflusso, che compare dal secondo trimestre in poi e rende difficilissimo digerire anche gli alimenti che prima non ti avevano mai dato problemi. Nel mio caso, come se non bastasse, i problemi digestivi sono comparsi fin da subito e così mi sono ritrovata a provare pura angoscia di fronte a un piatto di cibo, qualsiasi cibo. Figuriamoci poi l’idea di dover mangiare fuori casa, magari perché sei in viaggio o perché ti vedi con gli amici per un semplice caffè.
E poi, la questione del peso. Quanti chili si prendono in gravidanza? Se ne possono prendere molti. All’inizio questa cosa mi spaventava moltissimo. Non ero pronta a vedermi cambiare così tanto, non ero pronta a dover cambiare armadio! Fino all’ultimo, mi sono rifiutata di acquistare abbigliamento premaman. Il mio ragionamento era: perché comprare vestiti che mi andranno bene solo per qualche mese? E così mi sono arrangiata, mettendo da parte gonne e pantaloni a cui ero affezionata e acquistando nuovi capi di abbigliamento che avrei comunque potuto indossare anche dopo il parto. Continuo a pensare che sia una buona strategia, ma molto dipende dalla stagione. Ora che la mia pancia è grande come un’anguria e siamo in autunno, ho dovuto cedere alla comodità di tutine con panciera e maglioni larghissimi. E va bene così. Vanno bene anche i chili in più sulla bilancia, perché è tutto naturale.
I gusti cambiano, ma poi (a volte) ritornano
A proposito di caffè, è incredibile come la gravidanza abbia il potere di stravolgere completamente il concetto di piacere sul piano del gusto. Per esempio, io prima ero abituata a bere due caffè al giorno ed era un vero piacere per me. Da quando sono incinta, non tollero più il caffè. O perlomeno è stato così per i primi cinque mesi. Stessa cosa con la mela (altro frutto che prima adoravo). I primi quattro-cinque mesi ho smesso di mangiare frutta e verdura in toto. E io ho sempre adorato mangiare tanta frutta e tanta verdura! Poi, però, sono riuscita a reintegrare questi importanti alimenti nella mia dieta, anche se devo ammettere che le mele non le compro più per me, ma solo per altri o come ingrediente di piatti complessi, come una torta.
E le voglie? Ero convintissima fossero una grandissima str***ata, ma ho dovuto ricredermi. Ricordo giorni in cui l’unica cosa che tollerassi fosse un pezzo di focaccia (ma non una qualunque, quella genovese tutta bella oleosa). Inutile dire che se vivi in Inghilterra, non è proprio un desiderio facilmente realizzabile. Un’altra sera, ero con i miei genitori, mi sono fatta cucinare i nidi di rondine al forno, quelli con prosciutto e besciamella. (Grazie, mamma, erano l’unica cosa che avrei mangiato). Potrei andare avanti ancora con molti esempi, ma già mi vergogno per questa confessione da “picky” o “sciumlina” come si dice dalle mie parti. Essere schizzinosi non è qualcosa che ho mai tollerato molto nelle altre persone. Eppure… La gravidanza può rendere molto schizzinose.
Rimanere idratate è davvero importante
Non c’è rimedio più efficace contro la nausea o qualsiasi altro malessere che io abbia provato che bere un bicchiere d’acqua. Ed è davvero molto difficile a farsi, perché quando ti viene da vomitare, bere è l’ultima cosa che vuoi fare. Eppure, dopo va meglio. È incredibile quanti liquidi richieda il corpo di una donna incinta. Devi bere il triplo di quanto non fai normalmente e ti disidrati con una velocità impressionante. Il problema è la notte: ogni due ore il mio corpo mi sveglia (solo nelle ultime settimane riesce a “tirare” almeno per quattro ore) per costringermi a bere. So che questa cosa non succede a tutte, ma a me si. Mi sono quindi comprata un bellissimo porta borraccia a tracolla con dei dinosauri. Lo userò poi come porta biberon e non potrei essere più felice di questo acquisto.
Essere “lontano da casa” non è così male
Ho scoperto di essere incinta che mi ero appena trasferita a Londra. Nuova casa, nuova vita, vecchio lavoro ma con nuovo assetto fiscale (che sto ancora assestando adesso). Piccola parentesi: non si può mai essere totalmente preparati ai cambiamenti, anche quelli pianificati. Nel mio caso, di pianificato c’era ben poco, diciamo un 30%? Il restante 70% era pura incoscienza, mescolata con una buona dose di ignoranza e un’abbondante spolverata di ingenuità. Insomma, non può sempre essere tutto razionale altrimenti saremmo degli automi e non esisterebbero momenti in cui semplicemente ce ne sbattiamo le pa**e e facciamo quello che ci sentiamo. Chiusa parentesi.
Dicevo, che alla fine ho fatto il test di gravidanza, una sera di fine febbraio (o forse era marzo? Il mio cervello non è mai stato bravo a ricordare eventi traumatici). Ricordo solo che quel pomeriggio ho fatto una passeggiata al parco dietro casa con la netta sensazione di non essere sola nel mio corpo e che poi, una volta avutone conferma, quella notte non ho chiuso occhio. Ero spaventata più che altro dal fatto di dover affrontare una gravidanza lontana dalla mia zona di comfort e in lingua straniera. Con il passare del tempo, però, mi sono resa conto che essere fuori dalla mia zona di comfort fosse la cosa migliore che potesse capitarmi. Perché sono stata io (anzi noi potenziali genitori coinvolti nel misfatto) a costruirci, giorno dopo giorno, la strada che volevamo seguire. Niente ginecologi amici di amici, niente pressioni di chi “conosce uno bravo”, niente “mi ha detto la Gina che la Pina ha fatto così”. No, tabula rasa. Tutto nuovo e tutto da scoprire in un Paese che dà estrema importanza alla libertà personale.
Mille mila informazioni
Con questo non voglio dire che non siano arrivate informazioni da ogni dove: sotto forma di consigli, sotto forma di libri, sotto forma di inserzioni di Instagram (che ha mutato i contenuti da propormi con una rapidità e una costanza impressionanti).
Voglio dire una cosa riguardo ai consigli, qualcosa che spero vada oltre al solito ragionamento su quelli indesiderati (perché, si, tutti cercheranno di “aiutarti” a loro modo, regalandoti la loro opinione). Personalmente non mi sono sentita così male a riguardo, forse proprio perché mi sono evitata una gran quantità di pressione socio-familiare. Vorrei quindi raccontare quello che è stato per me il lato positivo di questo aspetto e in particolare qualcosa che mi ha detto una mia coetanea, che ha partorito l’anno passato: “Arriva preparata.”
Quando me l’ha detto, io ero solo all’inizio e sono totalmente andata in panico. C’erano così tante cose che non sapevo (niente, non sapevo niente) e ho completamente sbagliato approccio. Quasi sono svenuta nel cercare di immagazzinare informazioni nel più breve tempo possibile (a partire da fonti di dubbia credibilità, tra l’altro). Quando mi sono ripresa, mi sono resa conto che 9 mesi sono un periodo lunghissimo (vedi sotto) e mi sono data un metodo. Ho cercato di accogliere tutti i regali che mi sono stati fatti (alcuni libri, alcuni suggerimenti come app da scaricare, link da seguire, corsi da frequentare) e li ho spulciati con calma uno a uno. Ho così trovato che non avrei speso così tanti soldi per un corso preparto e ho cercato alternative più abbordabili. Ho scoperto che i libri che presentano una divisione in base alle settimane/ ai mesi di gravidanza sono l’ideale per non sentirsene sopraffatti. Ho imparato a frenare il rifiuto verso ciò che mi fa paura attraverso un potente strumento di psicologia inversa: le domande.
Mi sono fatta tante, tantissime domande su quello che stava succedendo al mio corpo e a quello del bambino, su quello che succederà in ospedale, sulle alternative, sulle cose che davvero avremmo dovuto acquistare e su quelle che invece avremmo potuto evitare. Una parte fondamentale di questo processo è stata, udite udite, parlare con le persone. Ascoltare i famosi consigli di chi ci è passato prima di te, passare il tempo con amici che hanno bambini e osservare il loro approccio, circondarsi di relazioni sociali che magari non hanno niente a che vedere con la gravidanza, ma che aiutano a ridimensionare un po’ la paura. E poi, filtrare tutto. Elaborare la propria personalissima scala di priorità, prendere quello che va bene per noi e lasciare perdere il resto. Ma, soprattutto, restare sempre informati.
Gli affari degli altri e la tua gravidanza
Ora che, come dicevo, l’Instagram ha capito che sono una futura mamma e che può propinarmi inserzioni di ogni inimmaginabile prodotto per gravide/neonate di cui ignoravo completamente l’esistenza prima (perché, si, ci cliccherò su), ho iniziato a seguire anche diversi account di influencer del settore. E così ho potuto notare che il minimo comune denominatore dei loro discorsi sembra essere quello che ruota intorno agli affari degli altri rispetto alla tua gravidanza, nel senso che gli altri non si fanno i loro affari e devono metterci lo zampino.
Ecco, io ribadisco che ho avuto un’esperienza piuttosto positiva a riguardo, nel senso che per me è stato bello che gli altri si interessassero alla mia gravidanza. Mi hanno fatto sentire tantissima dolcezza e affetto, anche se questa esperienza poteva essere lontana dalla loro vita, in questo momento.
In particolare, ho notato che proprio chi non ha mai avuto un’esperienza simile, tende a essere più comprensivo. Mentre chi è già genitore tenderà inevitabilmente a prendere come riferimento la sua particolare esperienza e quindi a non capire cose che a te sono successe e a lei/lui no. Penso sia normale e molto probabilmente finirò per comportarmi così anch’io, se non lo sto già facendo.
E così, ho imparato a rispondere “bene” alla domanda “Come stai?”, anche se io bene in questi nove mesi non la sono stata quasi mai, semplicemente ho imparato a convivere con i miei – nel migliore dei casi – fastidi e a riclassificare la scala del benessere. Sto solo male, ma non molto male? Allora sto “bene”. E anche questo va bene così, perché comunque non ci si può fare niente, gli altri non possono farci niente, se non starti vicino come distrazione. (E aiuta, aiuta molto).
Poi magari finisci per essere esausta e ti ritrovi a dover fermare l’auto dopo il matrimonio di un’amica a pochi passi da casa perché non ce la fai ad arrivare fin su. O ti ritrovi su una sedia a rotelle all’aeroporto El Prat di Barcellona, dopo aver bloccato un’intera fila perché ti sei accasciata al controllo bagagli. O ti passi gli ultimi due giorni di una vacanza senza muoverti dal letto dell’hotel (in una stanza che costava un sacco e che non avresti potuto sfruttare di più). Perché cosa dovresti fare? Stare “a riposo” per nove mesi? Anche la salute mentale è importante in gravidanza, è importante sempre.
A proposito di altri
Dicevo, gli affari degli altri. Anche questi non sono da dimenticare. Perché mentre tu stai vivendo un cambiamento così profondo di vita, sia sul piano psicologico che fisico, la vita degli altri va avanti. E magari non gliene frega niente di sapere dei tuoi drammi quotidiani, perché magari sono dolorosi anche per loro. Per chi vorrebbe una famiglia ma non ha ancora trovato la persona giusta, per chi vorrebbe avere figli ma non succede, per chi si sente indietro sulla tabella di marcia, per chi è spaventato e pensa di non potercela fare, per chi è spaventato e preferisce rifiutare l’idea, per chi è già genitore e vede tutto ridimensionato perché in questo momento ha altro a cui pensare. Personalmente ho stimato moltissimo chi si è preso cura di me, con regali, messaggi, incontri incastrati a tutti i costi, anche se la sua vita è così diversa dalla mia. Ma ho capito anche chi è sparito dalla mia vita, prendendosi cura della sua.
Nove mesi sono lunghissimi
Davvero. In nove mesi io ho visitato Bristol, Oxford, Barcellona, sono tornata a Piacenza tre volte, sono stata al mare con un’amica, ho passato una settimana in Scozia, ho dormito due notti a Lione e una a Parigi. E ho esplorato Londra, ospitando a dormire nell’ordine due amici, la mamma di Massimo, mio padre, due altri amici. Ho fatto brunch, incontri di lavoro, visite a musei, a parchi, a teatri… Ho iniziato un corso di yoga e un corso preparto. Il tutto da sola, in coppia o in compagnia.
Nel mezzo, mi sono ammalata tre volte e mi sono rotta un braccio (il destro, in estate, con 200 gradi. Il gesso almeno aveva un colore allegro). Ho così scoperto che in gravidanza non si possono prendere medicinali, fatta eccezione per il paracetamolo. Ma anche senza la giustificazione della malattia, ho passato moltissime ore semplicemente a non fare nulla: mi accasciavo sul letto o sul divano, perdendo la concezione dei pomeriggi. Perché un’altra cosa che succede durante la gravidanza è l’essere sopraffatte da una stanchezza inspiegabile. Una mancanza di energia totale, che fa sembrare anche un solo passo un’ostacolo insormontabile, mentre il fiato è sempre più corto. Ho imparato a essere clemente con me stessa, ricordandomi che stavo crescendo un’altra vita dentro di me, oltre a tenere viva la mia. Nove mesi sono lunghissimi, si, ma sono passati. Con un sacco di difficoltà, ma con tanta voglia di andare avanti.
Il lavoro
Ho lasciato questo punto per ultimo, anche se lo reputo molto importante. Ho però voluto inquadrarlo in un contesto che penso di aver spiegato con fin troppa ridondanza. E ora posso dirlo: se non mi fossi trasferita all’estero, in questo momento sarei sul lastrico. Perché da aprile in poi sono stata costretta a mollare tutto, ogni collaborazione che avevo in corso e che mi stava dando da mangiare. Ho perso nel giro di una settimana tutti i miei clienti e l’ho fatto di proposito perché non riuscivo fisicamente a lavorare. Questa, purtroppo, è una casistica che in Italia non è contemplata, se sei freelance. (Invece, ho scoperto con piacere che esiste la maternità anticipata per le donne con un lavoro dipendente).
Qui nel Regno Unito mi è andata decisamente meglio perché ho potuto delegare il mio lavoro a persone fidate (che – grazie al cielo – avevo già trovato prima di rimanere incinta) e tutti questi costi in più che ho dovuto e devo sostenere per questo motivo (gli stipendi da pagare) sono esentasse. Tra l’altro, il sistema fiscale inglese funziona così per tutti: le prime 12000 sterline sono esentasse. E non sono poche! E poi, ho potuto richiedere la maternità anche se sono libera professionista, che è esattamente uguale a quella dei lavoratori dipendenti. Ma dirò di più! Ho scoperto che la maternità possono richiederla anche le donne che aiutano il loro marito o partner nella sua attività (in modo informale) o le donne disoccupate, che si occupano della casa. Sembra utopia? A me sembra solo giusto.
Con questo, non voglio dire che la mia situazione lavorativa sia rosa e fiori. Ogni giorno combatto con la paura di non riuscire a conciliare la vita da mamma con la vita da professionista. Perché ci si dimentica sempre che l’attività del libero professionista non riguarda solo la produzione (il lavoro vero e proprio, qualunque esso sia) ma anche la ricerca di nuovi clienti, l’amministrazione della propria attività, la formazione personale. Se mancano tutti questi aspetti “intangibili” e di certo non delegabili, l’attività è destinata a fallire.
Quindi ecco, io so già che non potrò permettermi di prendermi troppo tempo lontano dal lavoro e questo mi spaventa. Mi fa sentire una pessima madre prima ancora di diventarla.
Il mio sogno è di vivere in una società che possa permettere alle persone di conciliare la propria identità genitoriale con quella professionale senza relegarle a tempi e spazi a tenuta stagna. E questo, lo sogno per l’Italia.
PS. Per smorzare l’attesa dell’ultima settimana di gravidanza, ho creato una Guida intergalattica per amiche incinte (o potenziali tali). Come se ce ne fosse bisogno, dirai…
Beh, se comunque ti interessa, puoi scaricarla qui:
Ciao Barbara. Mi è piaciuto molto il tuo articolo – anche è larghissimo, però ho potuto raggiungere la fine.
Io sono un uomo e un genitore – da tre figli, ma non avrei potuto imaginare che tante cose potessero succedere a una donna durante la sua gravidanza…….mi hai aperto gli occhi!!
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Grazie Nigel, sei molto carino e dimostri di avere una mentalità aperta 🙂
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Ciao una seconda volta, Barbara. Scusa, ho dimenticato di dirti che spero che il parto del tuo primo bambino vada tutto bene!!
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