Questa storia è stata scritta prima delle più recenti disposizioni sulla quarantena.

Sento dentro di me una sorta di angoscia, uno stato di apnea emotiva.
Ricevo tante notizie, troppe, piene di parole e numeri e cifre spaventose. Alcune vere, altre false, non riesco a riconoscere la differenza e questo mi manda in panico. Spengo il telefono, tolgo addirittura internet. Voglio disintossicarmi. Passa un’ambulanza. Oggi le ho contate: 15.

Lavoro come babysitter e, nonostante vorrei restare sotto le coperte tutto il giorno, non posso lasciare sola la famiglia. I genitori lavorano, la madre è una dottoressa all’ospedale di Piacenza. Ogni giorno torna con un nuovo comunicato: “35 nuovi contagiati. 5 morti”. “Oggi 6 morti, uno giovane”.


È un bollettino di guerra che accresce il mio stato di ansia, ma capisco anche che sia un modo, per lei, di sfogarsi. Ogni volta che sento un’ambulanza, penso a quei numeri. Persone, non numeri. Persone che
stanno male, che sono spaventate, che piangono e tremano.

Sorrido di me stessa, sono catastrofista in questo periodo. È strano, in effetti. Sono una persona solare, positiva, ottimista per natura. Ma questo periodo mi sta mettendo a dura prova. Sarà perché sono qui da sola?! Il mio compagno è via per lavoro, ma anche se fosse qui mi direbbe che è inutile preoccuparsi e si sa, queste frasi non sono mai d’aiuto. I miei suoceri sono ancora al mare e ci resteranno fino a fine mese. I miei genitori abitano altrove, ci separa la zona rossa e non riusciamo a vederci. Non che li vedessi molto, prima di tutto questo, ma ora che so di non poterli vedere, non penso altro che a loro.

Un’altra ambulanza. Un’altra fitta. Passerà, andrà tutto bene. Me lo ripeto come un mantra da ormai due settimane. Cammino verso casa, la gente è di fretta, si scosta, non ti guarda. Se osi tossire, semini il panico. Qualcuno
ha la mascherina, qualcuno fuma una sigaretta inspirando a pieni polmoni, passa un uomo schivandomi mentre fa jogging. Mi chiedo chi dei tre sia il più folle.

La città si divide tra chi se ne frega e chi è in panico, io mi sento nel limbo. Nemmeno in questo caso trovo il modo di sbilanciarmi. Arrivo nel mio quartiere, di solito sempre trafficato, sempre pieno di voci e risate di bambini nel parco. Oggi c’è il silenzio. Nemmeno il cane dei vicini abbaia, oggi.

Apro la porta e mi accoglie la mia gatta rotolandosi tra i miei piedi. La accarezzo e butto la faccia nel suo pelo lungo. Guardo la finestra della sala, illuminata di rosa e arancione: segno che fuori c’è il tramonto. Butto la giacca e le scarpe in un angolo. Un brivido freddo mi scorre nelle vene. Mi guardo intorno e inspirando a pieni polmoni ritrovo il mio equilibrio: sono a casa.

Chiara B.